Una leggenda racconta che in una notte terribile di tempesta, lampi e tuoni, apparve a un viandante la morte, assumendo l’aspetto di uno scheletro umano con una falce. « Da dove vieni, morte » — chiese il viandante — . « Vengo da una città lontana dove c’è stata la peste », rispose la morte. Riprese il viandante: « Ah sì, lo so, ho sentito dire che ci sono stati cinquemila morti ». « Sappi, però — precisò la morte — che mille sono morti di peste mentre quattromila sono morti di paura ». Questa breve introduzione non vuole confermare che anche i nostri antenati, in gran numero, siano morti di paura, ma che certamente le disgrazie, i dispiaceri, i dolori, le preoccupazioni possono portare alla malattia e alla morte. L’anima è strettamente collegata con il corpo. La peste venne da noi verso il 1630, epoca nella quale si diffuse in gran parte d’Italia; vi furono, si dice, 600-800 morti e, di conseguenza, si creò un vuoto pauroso nella popolazione di Thiene. La tradizione dice che i colpiti venivano isolati e trasportati in alcuni locali (dove, molto tempo dopo, fu costruita la fabbrica di Facchinetti), altri nelle piccole abitazioni di Via Orti.

Fino al 1914, i fanciulli, che verso sera, si avventuravano a giocare nel piazzale della chiesetta dedicata a S. Rocco (chiesetta costruita dal comune nel 1631 per ricordare i defunti della peste), molte volte fuggivano spaventati, poiché nel prato dei morti si vedevano tante fiammelle. Forse erano le anime dei defunti che chiedevano di essere ricordate dai vivi o forse, più verosimilmente, erano le lucciole che, ogni estate, tornano a emanare la loro flebile luce nei prati. Per trecento anni nessuno osò profanare quel luogo di mestizia e di morte; la grande e rozza croce che, per trecento anni ricordò ai rarissimi passanti la grande calamità, fu sempre rispettata o ricostruita. Nel 1915, appena iniziata la prima guerra mondiale, il macello comunale, poco lontano, venne utilizzato dall’Esercito per fornire la carne ai soldati che combattevano al fronte. Ma quale fu la nostra amarezza quando i nostri occhi videro la quantità di rottami, di ossa di buoi sotterrate nel cimitero dei nostri morti. Poco tempo dopo, la croce non si vide più. Nel 1946 appena finita la seconda guerra mondiale, il Comune fu costretto a costruire in fretta alcune casette economiche per famiglie povere e senza tetto. Fu scelto un pezzo di terreno non profanato, a sud del « Pra’ dei morti ». Durante gli scavi delle fognature, venne alla luce uno spesso strato di calce e, sotto di esso, apparvero le ossa dei nostri morti di peste.

Da pochi anni il famoso « Pra’ dei morti » non si vede più. Fu coperto il vicino torrente Rozzola. Al centro passa la strada di circonvallazione. A nord un pezzo di terreno coltivato e un piazzale ricoprono il rimanente luogo sacro. Fortunatamente è rimasta la testimonianza più preziosa: la piccola chiesetta che fu restaurata.

Questo articolo è tratto dal libro:

1984

Breve storia della Conca

...e del Patronato Maria Ausiliatrice© G. BarausseInfo ››