Fino agli anni ’70, in Conca c’erano alcuni bar e delle rivendite di vino sfuso.

l’ostarìa da Amo
All’incrocio alle Quattro Strade, nella zona più a sud della Conca, dal 1958 c’è l’Ostarìa da Amo gestita dalla famiglia di Adamo Tosin.
È sempre stato un punto molto frequentato da appassionati di caccia e pesca.
Una volta c’era una corte per giocare a bocce ed una per il cavabalìn molto in voga negli anni passati. All’esterno c’è sempre stata un’ampia pergola di viti, sotto alla quale hanno passato interi pomeriggi e serate innumerevoli avventori a giocare a carte ed a bere un bicchiere di buon vino.
Da Amo, fino agli anni ’80, funzionava una buona cucina casalinga.
Attualmente il bar è gestito dalla figlia di Adamo, Giovanna e dal marito.

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il bar California
Negli anni ’40 i fratelli Giovanni e Piero Mosele hanno aperto l’Ostarìa Mosele all’interno del fabbricato, tuttora esistente, sulla sinistra, all’inizio di via S. Filippo Neri. In seguito l’osteria è stata rilevata da Isidoro originario di Lugo di Vicenza.
Alla fine degli anni ’50 Egidio Martini l’ha trasformata in bar denominandola Bar California perché era appena tornato dall’America dove qualche anno prima era emigrato.
In seguito ha sposato la vicina di casa Antonia Tiranelli ed ha spostato il bar nella nuova costruzione dal lato opposto della strada, dopo aver fatto demolire la vecchia baraca laboratorio del fabbro Vanzan.
Nel 1969 Martini ha venduto il bar a Rino Rozzanigo che, assieme alla famiglia, lo ha gestito fino al 1984 quando gli è subentrato Deganello. In seguito la gestione è passata ad una famiglia cinese.
Nel 1998 la figlia di Rino, Ornella, assieme al marito Rocco Di Lullo, ha ripreso la gestione con il nuovo nome Cocco Bongo.
Fino a qualche anno fa, all’interno del bar c’erano due biliardi di cui uno per il gioco delle boccette. Molto frequentati erano i tavoli per giocare a carte, soprattutto brìscola ciacolóna, tressète, scala quaranta, scópa. Sul retro del bar c’era la corte da cavabalìn. Nel corso degli anni i biliardi sono stati soppiantati dalle Slot Machine e da giochi elettronici delle freccette.

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il bar Busin
All’angolo di piazza Martiri della Libertà nei primi anni ‘60, dopo l’arretramento del panificio, la famiglia di Stefano Gianesini ha gestito per qualche tempo l’ostarìa.
Nel 1964, Toni Busin, chiuso lo storico bar in centro, ha iniziato nei rinnovati locali la gestione del nuovo esercizio. Vi è rimasto fino al 1977, quando gli è subentrata Annalisa Haubennaufer. Nel 1982 il thienese Paolo Tagliapietra ha sostituito la signora ed è rimasto fino al 1988, quando i fratelli Roberto e Franco Castellan gli hanno dato il cambio. Nel 1990 è arrivato Massimo Fabris che il 6 gennaio 1994 ha lasciato il posto a Djamel Hamoudi ed alla moglie Bertilla Franzan.
Nel 2004, dopo aver ristrutturato completamente il locale, lo hanno denominato Bar Sport Cafè.

el Cantinon
In via S. Giovanni Bosco, c’era la rivendita di vino di Maria Monico Dal Ferro che nel 1978, dopo la ristrutturazione, ha aperto il bar-bruschetteria Cantinon. In seguito le nipoti Carla e Patrizia Dal Carobbo hanno continuato la sua conduzione.

dal Bacan
La Trattoria al Ponte de Fero ultimo stabile di via G. Marconi è conosciuta con il soprannome Bacan dato al locale moltissimi anni fa.
Nel 1929 Amalia Lucchese, proveniente da Malo, ha sposato il signor Lain, un ex emigrato di ritorno dall’America con parecchia disponibilità economica.
Era un bacanòto. Da lì Bacan.
Hanno rilevato la vecchia Ostarìa al Ponte de Fero della famiglia Facci che possedeva anche il distributore di benzina vicino. Originariamente il vecchio locale era gestito dalla famiglia Lerolin.
La signora Amalia ha gestito l’ambiente per circa 29 anni. Era solita scaldare le pignatee degli operai delle Officine Monti che erano di fronte. A mezzogiorno essi si accomodavano ai tavoli all’interno e spesso lei preparava il minestrone.
Nei primi anni il locale era privo di frigoriferi e quindi la signora Amalia doveva scendere in continuazione in cantina a prendere uno o due bottiglioni di vino alla volta: ha consumato gli scalini!
L’osteria è sempre stata un luogo di sosta per i carrettieri che dall’Altopiano si recavano a Vicenza: si fermavano per rifocillare i cavalli e bersi un’ombra. Ancora oggi, per chi proviene da Vicenza è un punto di incontro e di riferimento.
Era una tipica ostarìa dove si giocava a carte. D’estate, all’esterno, sotto alla pergola ed alle piante, si ritrovavano 50/60 avventori che si dividevano in svariati tavoli. Dove attualmente c’è il parcheggio c’erano le corti per il gioco delle bocce e del cavabalìn, usate anche per i tornei aziendali fra le fabbriche della zona.
In seguito il locale è stato affittato per una decina di anni ad un gestore emigrato poi in Friuli. Gli è subentrato, per un solo anno, il signor Bonin.
Nel 1969 Battista Bonollo e la moglie Bruna, provenienti da Grumolo Pedemonte, hanno rilevato l’ostarìa, nel 1985 l’hanno acquistata e l’anno successivo ristrutturata, ingrandita allestendovi pure una cucina. Hanno iniziato con l’offrire tramezzini e stuzzichini, vere novità. Nel corso degli anni si sono specializzati nella cucina a base di pesce aiutati anche dai figli Nereo e Roberto che sono stati coinvolti nella gestione.

da Sveni
In fondo a via Dell’Eva, all’angolo con via G. Marconi, c’era l’Ostarìa da Sveni. Si ricorda la poca luce all’interno e la corte da cavabalìn. Era stata aperta da Rosa Manea, moglie di Luigi Valente, che l’aveva poi ceduta fino al 1939 alla signora Marianna. Vi subentrò Bepi Sardei e dopo la famiglia Guerra Sveni, proveniente dalla Costa di Breganze, che la condusse fino alla chiusura.

daa Novea
Vicino all’Ostarìa da Sveni, c’era quella della Nea Novea Caterina Novello con pochi tavoli dove si giocavano interminabili partite a carte. In seguito la conduzione è passata alla figlia Angelina Barausse che sposò Luigi Jijo Serafini. Jijo intratteneva i clienti cantando e suonando la chitarra ed il violino. In seguito si sono trasferiti a Cittadella nel trevigiano.

da Matio Sguai
All’imbocco della corte Fiaschi c’era l’Ostarìa da Matio Sguai soprannome di Matteo Martini.

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Le rivendite de vin
Di solito, erano ricavate nella cucina del proprietario e sono state tutte chiuse.
Abitualmente il vino veniva acquistato direttamente dai contadini della zona e delle colline limitrofe. Veniva portato a casa con le damigiane e travasato nelle botti. I tappi delle botti riempite di bianco, nero, crinto, nostràn, venivano sigillate dall’incaricato del dazio (in vigore fino al 1973) affinché non si potesse aggiungere altro vino. Per non pagare la tassa, qualcuno aveva escogitato un ingegnoso stratagemma: acquistava altro vino dal contadino, poneva la damigiana più in alto rispetto alla botte e poi, con un tubo che passava attraverso la cànola, lo travasava in essa lasciando intatto il sigillo apposto al tappo.
Nelle rivendite, spesso, il vino veniva servito in una scudèla (scodella) che aveva l’interno quasi nero: il vin crinton lasciava un indelebile segno.
Si ricorda della Mora dee Ole, da Ciussardo, che si era fatta portare mezzo litro di crinto e del pan biscòto. Dopo un po’ chiamò nuovamente l’oste esclamando “fiol don can del pan, el me gà bevù tuto el vin, portame n’altro meʃo litro”, il pane immerso nella scodella aveva assorbito tutto il vino.
Si ricordano: Boscara in via De Muri, Dora all’inizio di via S. Rocco e Costa dietro alla chiesetta della stessa via, Ciussardo (che era molto bravo a cantare) sul lato sinistro dell’attuale entrata al parco Chilesotti nell’omonima via, Iia Togliati  Luigia Faccin in via S. Giovanni Bosco, Moserle in Corte dei Toldi, Do Rode in via De Marchi, Rivelli in via Rasa, Rina Testolin Turchea e Valente in via Dell’Eva.
Carlo Saggin in via De Muri vendeva vino in bottiglia e sfuso, bibite.